I formidabili Sessanta erano nati da poco. Il clima
della ricostruzione era svanito e in Italia c’era aria di boom. Ottimismo e
voglia di futuro circolavano per le vie di uno Stivale sgombro da paranoie. Nel
1961 Julius Evola, artista, giornalista e filosofo della tradizione dava alle
stampe un volume che andava in tutt’altra direzione. Cavalcare la tigre, che certificava il ritorno del filosofo sulle posizioni
degli anni Venti: quasi un individualismo superomistico che maritava Nietzsche con
taluni significati “superiori”. Ma il senso di quelle pagine stampate da Vanni Scheiwiller
andava anche oltre. C’era stata la sconfitta delle idee che Evola ipotizzava potessero
salvare l’Europa dall’inferno del kali yuga. E c’era il fatto che Evola fosse uscito
dalla seconda guerra mondiale menomato anche nel fisico, con una lesione al
midollo spinale che gli bloccherà per sempre gli arti inferiori. Nel dopoguerra
c’era stato perfino il carcere di Regina Coeli per gli attentati di “Legione
Nera”. Giudicato come il padrino dei giovani rivoluzionari, Evola si salverà da
una condanna in secondo grado solo grazie all’amnistia del 1953. Cavalcare la tigre è figlio di un clima ostile,
inutile nasconderlo. È un libro pensato esclusivamente per un’elite meritevole,
secondo il filosofo, di vera libertà, ma naturalmente è anche un saggio fortemente
pessimista. Da ciò probabilmente le diverse interpretazioni alle quali è stato
sottoposto. Da destra e da sinistra. Interpretazioni riassunte da Gianfranco de
Turris nella prefazione al recente Cinquant’anni
di Cavalcare la tigre (1961-2011) edito da Controcorrente, che contiene gli
atti del convegno del novembre 2011 organizzato per il mezzo secolo del libro. Quattro
i relatori dell’incontro tenutosi a Roma presso l’Accademia di Romania. Punti
di vista diversi, qui non in contrasto tra loro. Per Marcello Veneziani, il
libro è un «manuale di sopravvivenza metapolitica per chi dissente dal proprio
tempo». Per Gennaro Malgieri, Evola al pari di Jünger ipotizza «quella figura di
Anarca destinato a convivere con la morte di Dio senza sottomettersi ad essa». Per il
filosofo Giandomenico Casalino la dottrina spirituale di cui tratta Evola è «la Filosofia medesima, nel
suo autentico significato che è quello platonico-ermetico cioè iniziatico-sapienziale».
Infine l’interevento di Andrea Scarabelli, direttore del periodico Antares, svela i contenuti del carteggio Evola-Scheiwiller custodito presso il fondo
Apice dell’università di Milano.
Bella recensione. Sintetica ma tagliente.
RispondiEliminaUn abbraccio.
Carlo
ciao Carlo, grazie per l'attenzione. A presto.
EliminaMarco